Tra riflessioni e riflessioni – 07/02/2010 Toppo (Pordenone)

Tra riflessioni e riflessioni – 2010 – Toppo

Riflessi e riflessioni

La prima cosa che salta immediatamente agli occhi nella mostra degli ultimi lavori di Perini, una produzione iniziata dal 2000, è la riproposta quasi insistente di temi e scorci prospettici ripetuti. Ricorrono medesimi volumi cromatici, identici spazi di osservazione, in un gioco che sembra cercare le variazioni più che la rappresentazione, le sfumature più che i contorni e la figura del paesaggio, per quanto esso ritorni ogni volta. Ebbene questa iterazione è perfettamente coerente con il titolo che è stato dato a questa mostra: Riflessi e Riflessioni. ( Da notare che riflessi e riflessioni non giocano solo sul terreno linguistico, ripetendo lettere suoni uguali, ma afferiscono allo stesso verbo che nella doppia accezione allude ora al rimando della luce ora a quello della mente). Le opere raccontano dunque lentamente un dialogo, un discorso avviato tra lui, ed il paesaggio alla ricerca della sua anima, quella del mondo che ci circonda, ma anche quella di Perini che ama la natura, vi si pone in osservazione trasformandola in emozione intensa e profondamente sua; cerca di coglierla con attenzione, la spia, la segue nelle linee, nei colori ormai  soggettivi più che reali e la rappresenta, sapendo ogni volta che  essa dura solo un secondo, e che non può essere fissata sulla tela per sempre. Ecco allora il senso del titolo: i riflessi sono quelli del colore, del paesaggio, le riflessioni sono quelle del muto dialogo tra sentimento e natura.

Cromatismi dinamici/prospettive capovolte

Che Perini sia innamorato della natura lo dicono i suoi colori ed i temi scelti nelle tante opere prodotte anche in passato. Originario di Venezia si è portato dentro i colori della laguna, ( gli azzurri e i verdi, acquosi e trasparenti ),  affiancandoli ai gialli ed ai bianchi pietrosi, ai verdi vegetativi dei magredi del Friuli in cui oggi vive e che visita spesso  da solo o in compagnia della moglie. E ritornano ogni volta a far capolino, ad aggrapparsi sulla tela come montagne, sassi, letti di fiumi e torrenti, ma non riescono a restar fermi: questo mondo finisce sempre per rarefarsi, dissolversi in macchie, in impasto steso con sentimento più che con logica. I colori infatti sono in movimento, hanno un punto di origine, dove sono stesi ed ordinati ed uno di arrivo, dove l’affollamento è caotico, febbrile.  La ragione di questo processo è la soggettivazione crescente, il rapporto stretto e violentemente sublimato tra  l’osservatore e immagine. Ogni volta il paesaggio viene quasi risucchiato verso il punto d’osservazione, in un cono cromatico che diventa tanto più indistinto quanto più si avvicina all’artista. Nelle normali rappresentazioni legate alla distanza  è il contrario, ma il processo di interiorizzazione qui è soverchiante e a mano a mano che la visione giunge al punto di osservazione si trasforma in agglomerato di colori, in puro impasto cromatico.

 

 

Rapporto con lo spazio di lavoro

 

Altro elemento che mi piace sottolineare è il rapporto con lo spazio della tela, del piano di lavoro.

E’ difficile conciliare la spazialità quasi infinità del paesaggio aperto, con la limitatezza delle misure dei supporti. Ma questo, che è problema che attiene a tutti i lavori del genere, viene affrontato da Perini   con una costruttività interessante. Egli sente che il quadro è un limite dinamico e provvisorio, funzionale più alla sua soggettivizzazione che alla rappresentazione dell’immagine. I limiti sono ineliminabili. L’occhio non può superare l’orizzonte, il quadro non può superare la tela per quanto cerchi di farlo aggrappandosi anche alla cornice. Allora Perini li rafforza, li esagera quasi, spesso costruendo pareti di colore, di solito cromaticamente coerenti con il tutto, nelle quali costringere l’immagine a scivolare, privilegiando le sole dimensioni verticali. Non a caso qualche lavoro è costruito su supporto rombico, una figura sintonica con le verticalizzazioni, e particolarmente efficace ad  enunciare quella dimensione bilaterale che lega in un cono di colore e movimento paesaggio e artista. In alcuni casi i limiti sono su tre lati, il cielo stesso è diventato un limite cromatico, scuro o chiaro a seconda dello stato d’animo del pittore, e l’unica via di fuga per il tutto è lo scivolamento verso il suo punto di percezione. Il rombo facilita la rappresentazione di questa bilateralità, il tondo aggiunge alle due il richiamo alla realtà sferica che ci gira intorno; la forma piccola del quadrato ricorda la vana volontà di miniaturizzare in microcosmi un mondo reale e di emozioni che ci sfuggono continuamente.

 

 

Paesaggio dell’anima e  paesaggio naturale

 

La natura è protagonista dunque nella pittura di Perini  nella doppia veste lirica e materica, soggettiva ed oggettiva, figurativa ed astratta. E’ in atto un confronto serrato tra l’artista ed il mondo che ama, da questo arriva una decisa  spinta al figurativo naturalistico, dall’altra il desiderio di  raccontare l’emozione in libere cromie. Spesso prevale il desiderio di possederla in toto, rappresentandola in uno sguardo d’insieme, qualche volta prende forma la tendenza a visitarla in parte, a scomporla, soffermandosi su qualche suo particolare con un gioco di macro diffuse qua e là, senza che l’osservatore esterno le possa cogliere immediatamente. Dunque e lo ripeto è un confronto lungo e dialettico quello che segnalano le opere di questa selezione ed in esse vivono quasi due paesaggi quello dell’anima e quello della natura, l’uno tradotto in colori e sentimenti, l’altro in  volumi, segni e massa pittorica. La mostra si chiude con un lavoro apparentemente estraneo a questo ciclo ma che,  nella mia lettura, sposta solo più in là il confronto in atto: è una  piccola installazione in ferro, residuo fisico della grande guerra. E’ una delle ultimissime fatiche di Perini. La scultura rilancia in modo forte un ritorno alla natura fisica ma rivissuta come emozione della materia e delle sue forme simboliche sia nella patina terrosa che nella forma del brandello che cerca di disancorarsi dal fascione.

Insomma il viaggio continua. Nelle nostre opere siamo sempre noi stessi, ora più sereni, ora più inquieti, ma sempre ansiosi di giungere ad un nuovo punto di arrivo. Che però non è un traguardo ma solo un nuovo punto di partenza. Che cosa sarà la pittura o la produzione di Perini dei prossimi anni lo vedremo molto presto.