PICCOLA ANTOLOGICA – Gianni di Fusco – 2003

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Paesaggi e nature morte, una piccola antologica che mette in chiaro le tappe, inevitabili, di una vocazione ormai consolidata. E poichè dietro l’artista vi è l’uomo, come è impossibile che non sia, ecco alcune composizioni che denunciano un momento particolare, ovviamente critico, nella vita privata del pittore, mediante cieli minacciati da nuvole fosche e primi piani con macchie di verde alberato fortemente raffigurate in tocchi accentrati e colori addensati. Poi il rasserenamento che si manifesta in una serie di paesaggi anche stilisticamente “nuovi”, che ritraggono, con personalissima emotività evocativa, i magredi maniaghesi e della pedemontana in genere. Al centro, un grumo di luce scandita da gialli e rossi in progressiva rarefazione e contornati da verdi e da segnature appena accennate ma chiaramente indicative di una progressione prospettica verso orizzonti sfumati. Pittura di eminente ricchezza cromatica e di moderna concezione raffigurativa. In mezzo a queste particolari esperienze i girasoli, i melograni, le stelle di Natale. Alta scuola di realismo sulla scia di un vedutismo veneto a cui Perini rimane ancorato con radici apertamente solide. Con di personale “la luminosità” e la originalità rielaborativa, che fanno vivere gli oggetti dentro gli sfondi accuratamente studiati e li ripropongono a una rilettura sempre interessata e sempre appagata.

CADENZE NEO-ESPRESSIONISTE – Giulio Gasparotti 2003

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La mostra ripercorre le tappe più significative dell’artista pordenonese, seguendo i vari cicli del suo discorso pittorico, caratterizzato da coerenti scelte prospettiche, da colori forti e contrastanti, da spessori conglobanti l’ambiente e la sua storia, la natura e il vissuto, la realtà e la memoria. Paesaggi, nature morte, ritratti, il cavallo. Esuberanti e incisivi nelle cromie e nelle strutture, ritmati nelle cadenze neo-espressioniste, rinviamo a luoghi, a spazi, ad atmosfere, note e a rese visive capaci di bloccare e di riversare il contrappunto luministico lungo i trapassi che si concretizzano in armonie essenziali dai valori formali e contenutistici. Tra un ciclo e l’altro, il filo conduttore e la magia rimangono nel colore, che, influssi friulani a parte, non dimentica la matrice veneta, proprio là dove ne assimila l’intensità e l’efficacia. La visione non si ferma all’indicazione, nè glissa sull’icona, s’incunea, invece, nell’intreccio dell’emozione e del pensiero, nei segni della vita. Si intellettualizza e si stilizza anche nel simbolo. Così “Gli appunti di paesaggio”, i “Cesti”, divengono considerazioni sulla realtà diverse dal naturalismo, tendenzialmente imitativo, sia in relazione alla tematica, sia in rapporto al soggetto, da considerare punto d’inizio e non di arrivo nella continuità interpretativa.

TRASFIGURAZIONI DI NATURA – Fulvio Dell’Agnese – 2002

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Una ricognizione storica nella pittura di Sergio Perini, per quanto consentito dai limiti di un’esposizione temporanea, può indurci inizialmente al confronto con immagini della quotidianità popolare, con personaggi di pelle ruvida e colore acceso quali la Locandiera o la Galinera, figure che danno immediatamente la misura di un legame profondo – mai banalmente tradotto in bozzettismo – del pittore con il suo mondo, si tratti della Venezia nella quale vive la gioventù o del Friuli della maternità. Quest’ultimo, in particolare, è l’ambito in cui Perini esprime il suo amore per l’arte anche sul piano organizzativo,in tutta una serie di iniziative legate al circolo pittorico “Al Fogher” che, riconsiderate a distanza di quasi trent’anni, appaiono tinta di candido pionierismo per il loro calarsi nel tessuto sociale d’una provincia pragmaticamente appagata del proprio recente benessere. Nel frattempo – e sono arrivati gli anni ottanta -, nella dimensione creativa di Perini si ritaglia uno spazio sempre più ampio il paesaggio. I titoli dei quadri (Pianure, Pedemontana) parlano di rappresentazioni naturalistiche, ma campi, cieli e colline si assemblano e si confondono con la simbolica necessità dei bracci di una croce. A lasciare traccia sulla tela, senza fissarsi in descrizione, è una natura vissuta dall’artista con senso profondo della sua sacralità e con coscienza lacerata degli oltraggi da lei troppo spesso subiti. Può trattarsi dello squarcio ancora vivo di una cava nel ventre del colle di Caneva; ma il “principio poetico” rimane lo stesso nelle seguenti vedute del Monte Cavallo, con al centro i “magredi” che fra Cellina e Medusa segnano la pianura come fossero una cicatrice. Natura ferita e natura rigenerate, quella di Perini, che viene vissuta ed espressa con dramma accentuato nei quadri dei primi anni novanta: il pittore è segnate fisicamente dalla malattia, le sue tele si corrugano in bagliori temporaleschi e nubi incombenti. Ne esce comunque vittoriosa la volontà di rendere la forza vitale della Mater Tellus, conducendo più di recente, nella serie Trasfigurazioni, a una moltiplicazione cinematografica delle immagini (in cui a succedersi sono le ore o le stagioni) e addirittura a quel che si potrebbe definire lo “scacco” del pittore, cui il soggetto – incontenibile – deborda fra le mani, a rigurgitare fuori dalla cornice dipinta come in un trompe l’oeil manierista o barocco. A sollecitare ogni forma all’acquisizione di volumi percepibili sono sempre i colori ad olio, costantemente al limite della saturazione: giallo, arancio, rosso, verde smeraldo. L’artista opera insomma una totale adesione alla natura per lasciarsi trasportare alla sua completa “trasfigurazione”, facendone una cifra mai astratta ma di un’essenzialità sacrale. Le sue sono Dissolvenze che muovono da una realtà lungamente osservata, ma anzitutto amata e sofferta; e a questa determinante matrice emotiva risponde nella stesura pittorica una componente espressionista, gestuale, che ribolle sotto la glassa di campiture più compatte, in grado di tranquillizzare solo gli sguardi più distratti.

ARTISTA DI TERRE DI MONTI E D’ARIA – Vito Sutto – 2002

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Sergio Perini, veneziano residente a Pordenone, artista di terre di monti e d’aria. L’aut ore infatti si propone con segni e colori che si slanciano sulla linea di terra, allontanandosi dall’orizzonte con progressive sfumature, consolidandosi in monti remoti e accennati, sfumandosi in cieli dal cromatismo freddo.Una sua mostra recente ci consegna il consueto segno di Perini, nato da un bisogno fisico di comporre quasi rovistando tra la materia, sgranandola in particelle, conservando il figurativismo nel suo impianto ma traducendo il realismo in accensioni e laceranti immagini che sembrano provenire dalla coscienza. Abbiamo già parlato che con “Dissolvenze” ci porta agli occhi un vasto territorio che sembra debordare dal quadro per la quantità magmatica della materia. Nel quadro l’immenso territorio esce come un cuneo che rompe i margini dell’impaginazione, aggressivo. Sullo sfondo le montagne accennate e un cielo pacifico sembrano guardare

VITO SUTTO 2002

MEMORIA E VISIONE – Enzo Santese – 1997

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Legato alla formulazione di un paesaggio teso tra esito di memoria e risultato di visione, PERINI è andato affinando con buona propensione la sua cifra operativa più cospicua al rapporto tra segno e colore. Nel variare delle stagioni creative l’artista ha impegnato la corposità del pigmento a dar corpo all’idea, espressa dentro una logica di luminosità sempre diversa. Anche quando è esplicita, la pittura di SERGIO PERINI mai si limita a rappresentare, ma aggiunge quel tocco evocativo capace di far rivivere il dato di natura nel personale repertorio d’umori e sensazioni. Spoglia d’enfasi retorica e ricca di vibrazioni plastiche, la tela ricerca e prospetta, soprattutto, equivalenze emotive. La grafica, sfrondata fino ad essere ridotta all’essenziale, si adegua al colore modulato, ma sempre concentrato nella gamma fino affiorare, talora, la parvenza monocromatica. Il paesaggio distende le proprie articolazioni significanti nella vastità di un a campagna che, all’orizzonte, fonde le tonalità della vegetazione con i bagliori del sole al tramonto, oppure la corona di colline e montagne segnate dal loro innevamento in un candore che è sfondo e cielo in una sintesi di gran suggestione. Nelle recenti opere PERINI ha recuperato il valore dominante del segno, ricondotto ad una logica figurale dentro un alveo che pulsa di sfumature sollecite a catturare lo sguardo oltre la frontalità del primo piano.

ENZO SANTESE, 1997

A Sergio Perini e alla sua temperie veneziana.

PASSAGGI DELLA MEMORIA – Guido Perocco,1991

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Alcuni titoli dei quadri di Sergio Perini, presentati di recente ad una mostra, c’immettono sulla via dell’interpretazione della sua pittura. Ecco i titoli indicativi: Azione Coloristica e Paesaggio della Memoria. Sergio Perini è un artista veneziano, che poi, da vent’anni ha lavorato nella pittura in Friuli, e, con l’aria leggermente diversa, ai piedi della montagna, ha sensibilmente mutato la sua “azione coloristica”: da dolce, chiara, un po’ sfatta, dell’ultimo Carena e dell’ultimo Guidi, suoi maestri, ad una luce più turgida, più forte e violenta di questi ultimi tempi in una serie di visioni della natura ai limiti dell’astrazione, che è appunto “Paesaggi delle Memoria”. Di fronte ai suoi paesaggi si compie spesso una “azione” sul colore ed un “passaggio” che la memoria attua attraverso spontanee graduazioni cromatiche. Un tale dominio sulla struttura del quadro costituisce la chiave per intendere l’artista. Vediamo come avviene questa “trasfigurazione”. Una serie interessante di paesaggi, ad esempio, nasce da atmosfere cupe, da cieli blu notte e cobalto, per sfociare poi, attraverso sequenze di toni, in un punto centrale di forte incandescenza luminosa: dai turchini e oltremare, ai rossi, ai gialli fino al bianco. Lo stesso paesaggio passa per altre gamme di colore a sembianze più estive ed assolate, alla ricerca al centro di un punto luminoso, tanto da raccogliere in uno stesso quadro quattro “momenti della memoria” di queste stagioni ideali. Tutto questo porta Sergio Perini anche nella figura umana verso punti più luminosi di tinte, che danno ragione al suo “vedere” attraverso successioni di lumi per rischiarare quasi improvvisamente il quadro da toni più bassi. Si osservino gli occhi dei suoi personaggi, cosi ingranditi nell’espressione, oppure le mani così potenti ed aggressive in primo piano e gli oggetti che esse contengono, quasi stretti dalle forti braccia entro una morsa immaginaria Nelle opere migliori mi sembra, dunque, che prevalga nell’artista un punto di vista che addensa in modo leggermente espressionistico la stessa realtà e la trasfiguri con un suo gusto, una specie di “estro armonico”. La strada è molto lunga da compiere, ma l’impianto è naturalmente sicuro e prende lo spunto poetico dall’aria, la luce, la carica emotiva, che deve essere sempre più pure.

ISTINTO E CULTURA – Paolo Rizzi 1987

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ISTINTO E CULTURA

Istinto e cultura entrano e si fondono nella pittura di Sergio Perini. Istinto è, infatti, il suo modo di immedesimarsi nella natura, cogliere non soltanto le forme, i colori e le luci, ma anche il senso umoroso della materia. Culturale è d’altronde, quel suo restare fedele alle matrici di una civiltà pittorica veneta, sentita al fondo, com’eredita di sentimenti. L’importante, si sa, è riuscito a raggiungere un suo equilibrio, un personale comportamento. Senso e ragione si fondono, natura e storia si compenetrano. Piacciono certi paesaggi colti dall’alto, in una sintesi che è emotiva: ricordo fragrante delle cose, memoria appena filtrata dal velo della nostalgia. La luce si stempera nei riflessi caldi, come un fluire innervato da un “polso” vivido, prensile, trepido. C’è un’immedesimazione nella natura; e quindi una scelta che è anche etica, d’ordine ecologico, come un’immersione panica nell’ambiente amato. La sensazione è di chi, di fronte ad uno spettacolo abbacinante della natura, chiuda gli occhi e lo riassapora lentamente. Le forme e le luci si riorganizzano all’interno di una sintesi che è essenzialmente emotiva, ma che risponde anche ad esigenze d’antica civiltà del vedere. Insomma: il filone giorgionesco è sempre vivo. Quel modo di entrare all’interno dell’immagine, di sceverarne le componenti, di catturarne l’essenza, è percepire anche nelle figure. In esse naturalmente la strutturazione della forma (di vaga ascendenza cubista) è più chiara, cioè più scandita; e le componenti psicologiche risaltano con un fondo di malinconia. Ma sempre risalta questa partecipazione sentimentale, questa vibrazione, questo empito. Appunto: la vivezza del dato naturale si innesta in una coscienza culturale. Perini è di origine veneziana: e questo dato rende così fresca e trasparente la sua pittura, mai passiva. Un pittore di temperamento.

PAOLO RIZZI,1987