TRASFIGURAZIONI DI NATURA – Fulvio Dell’Agnese – 2002

Citazione

Una ricognizione storica nella pittura di Sergio Perini, per quanto consentito dai limiti di un’esposizione temporanea, può indurci inizialmente al confronto con immagini della quotidianità popolare, con personaggi di pelle ruvida e colore acceso quali la Locandiera o la Galinera, figure che danno immediatamente la misura di un legame profondo – mai banalmente tradotto in bozzettismo – del pittore con il suo mondo, si tratti della Venezia nella quale vive la gioventù o del Friuli della maternità. Quest’ultimo, in particolare, è l’ambito in cui Perini esprime il suo amore per l’arte anche sul piano organizzativo,in tutta una serie di iniziative legate al circolo pittorico “Al Fogher” che, riconsiderate a distanza di quasi trent’anni, appaiono tinta di candido pionierismo per il loro calarsi nel tessuto sociale d’una provincia pragmaticamente appagata del proprio recente benessere. Nel frattempo – e sono arrivati gli anni ottanta -, nella dimensione creativa di Perini si ritaglia uno spazio sempre più ampio il paesaggio. I titoli dei quadri (Pianure, Pedemontana) parlano di rappresentazioni naturalistiche, ma campi, cieli e colline si assemblano e si confondono con la simbolica necessità dei bracci di una croce. A lasciare traccia sulla tela, senza fissarsi in descrizione, è una natura vissuta dall’artista con senso profondo della sua sacralità e con coscienza lacerata degli oltraggi da lei troppo spesso subiti. Può trattarsi dello squarcio ancora vivo di una cava nel ventre del colle di Caneva; ma il “principio poetico” rimane lo stesso nelle seguenti vedute del Monte Cavallo, con al centro i “magredi” che fra Cellina e Medusa segnano la pianura come fossero una cicatrice. Natura ferita e natura rigenerate, quella di Perini, che viene vissuta ed espressa con dramma accentuato nei quadri dei primi anni novanta: il pittore è segnate fisicamente dalla malattia, le sue tele si corrugano in bagliori temporaleschi e nubi incombenti. Ne esce comunque vittoriosa la volontà di rendere la forza vitale della Mater Tellus, conducendo più di recente, nella serie Trasfigurazioni, a una moltiplicazione cinematografica delle immagini (in cui a succedersi sono le ore o le stagioni) e addirittura a quel che si potrebbe definire lo “scacco” del pittore, cui il soggetto – incontenibile – deborda fra le mani, a rigurgitare fuori dalla cornice dipinta come in un trompe l’oeil manierista o barocco. A sollecitare ogni forma all’acquisizione di volumi percepibili sono sempre i colori ad olio, costantemente al limite della saturazione: giallo, arancio, rosso, verde smeraldo. L’artista opera insomma una totale adesione alla natura per lasciarsi trasportare alla sua completa “trasfigurazione”, facendone una cifra mai astratta ma di un’essenzialità sacrale. Le sue sono Dissolvenze che muovono da una realtà lungamente osservata, ma anzitutto amata e sofferta; e a questa determinante matrice emotiva risponde nella stesura pittorica una componente espressionista, gestuale, che ribolle sotto la glassa di campiture più compatte, in grado di tranquillizzare solo gli sguardi più distratti.